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PARADISO - Canto II

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Siamo nel gioiello romanico del XIII secolo di Santa Maria ad Cryptas a Fossa e qui, l’infermiere Giampiero Bellini, legge il II canto del Paradiso.
Dante poeta si rivolge a chi legge avvertendo di non mettersi in pelago se non seguendo lui, l’unico poeta in grado di inoltrarsi nel mare infinito di Dio: l’acqua che egli prende, infatti, “già mai non si corse”. Continua lo sguardo luminoso di Dante in quello della sua Beatrice, mentre salgono sul primo cielo della Luna, trasportati da quella sete “concreata e perpetüa”: qui il Sommo Poeta si domanda cosa siano “li segni bui” presenti nel corpo lunare. Dante pensa che le macchie lunari dipendano dalla diversa densità dei corpi celesti percepita dalla Terra. Beatrice invece spiega il fatto con l’esperimento degli specchi, adottando un linguaggio specificamente scientifico e teologico: posti tre specchi a diversa distanza gli uni dagli altri da un’unica fonte luminosa, la luce riflessa in essi sarebbe identica nella qualità, ma diversa nella quantità. La differenza, dunque, dei corpi celesti non è data dalla quantità di luce che essi ricevono, bensì dalla qualità: da questa differenza qualitativa, dipende anche quella degli individui terrestri: infatti” ‘l ciel […] / de la mente profonda che lui volve / prende l’image e fassene suggello.”
Dante poeta si rivolge a chi legge avvertendo di non mettersi in pelago se non seguendo lui, l’unico poeta in grado di inoltrarsi nel mare infinito di Dio: l’acqua che egli prende, infatti, “già mai non si corse”. Continua lo sguardo luminoso di Dante in quello della sua Beatrice, mentre salgono sul primo cielo della Luna, trasportati da quella sete “concreata e perpetüa”: qui il Sommo Poeta si domanda cosa siano “li segni bui” presenti nel corpo lunare. Dante pensa che le macchie lunari dipendano dalla diversa densità dei corpi celesti percepita dalla Terra. Beatrice invece spiega il fatto con l’esperimento degli specchi, adottando un linguaggio specificamente scientifico e teologico: posti tre specchi a diversa distanza gli uni dagli altri da un’unica fonte luminosa, la luce riflessa in essi sarebbe identica nella qualità, ma diversa nella quantità. La differenza, dunque, dei corpi celesti non è data dalla quantità di luce che essi ricevono, bensì dalla qualità: da questa differenza qualitativa, dipende anche quella degli individui terrestri: infatti” ‘l ciel […] / de la mente profonda che lui volve / prende l’image e fassene suggello.”