INVIDIA, TRISTEZZA, GELOSIA, tentazioni, Vizi capitali, 9° Video

La tristezza è un abbattimento dell’anima che fa seguito ai pensieri di collera. Esistono due tipi di Tristezza: la tristezza secondo Dio, che porta alla salvezza e la tristezza del mondo, che produce la morte.
Vi è dunque una tristezza buona ed una cattiva.
La prima è quell’afflizione che consiste nella sofferenza per la propria lontananza da Dio e che può condurre fino al pentimento ed al ricongiungimento a Dio, passando dal sacramento della confessione. Quella cattiva invece, è quella di cui tratteremo in questo video: è quella tristezza che non è secondo Dio, ossia quell’ombra che ci abita, ci paralizza e ci deprime spegnendo poco per volta in noi la voglia di vivere. Il segno da cui si riconosce tale tristezza è l'incapacità di piangere, infatti solo grazie al dono delle lacrime possiamo sperimentare la tristezza quale giusta sofferenza per i nostri peccati.
Tale vizio, definito dal grande Evagrio Pontico “verme dell’anima”, Si insinua nel cuore dell'uomo e lentamente corrode tutta la sua vita, se non viene combattuta, essa finisce per abitarci come un inquilino stabile e sempre più difficile da scacciare. E’ la radice della depressione nervosa, Perché conduce al sentimento del non senso della vita, a uno stato di letargo in cui la vita pare senza luce, senza speranza: in una parola invivibile.
Scendendo più in profondità si può cogliere come il vizio della tristezza consista nell’essere una patologia riguardante il nostro rapporto con il tempo.
Da una parte si idealizza il nostro passato come tempo indiscutibilmente migliore di quello attuale e spesso lo si evoca con nostalgia, dall'altra parte, si sogna di realizzare in un futuro mitico ciò che per l'appunto è destinato a cominciare sempre domani, oppure si teme l’avvenire per le incognite che può riservare. Insomma, in un modo o nell'altro ci si rifugia in un mondo immaginario per non aderire alla realtà: così facendo, però, non si coglie il presente come l’oggi di Dio, come l'ora irripetibile che ci è data da vivere.

Una forma particolare di tristezza è l' #invidia, una #tristezza che nasce dalla consapevolezza, dall’osservazione del bene e della felicità altrui. La matrice di questo peccato è il desiderio di avere noi la roba degli altri, anche se a volte si vorrebbe semplicemente che l'altro non avesse quei beni, quelle caratteristiche, quei determinati doni.
L'invidia è un sentimento che purtroppo nasce già nell’infanzia, soprattutto nei rapporti familiari, e in particolare là dove ci sono fratelli o sorelle.
L'invidioso è colui che si sente escluso da un bene che l'altro che gli è accanto possiede: vede il bene dell'altro come male proprio.
L'invidia distrugge e consuma quelli di cui si impadronisce come la ruggine rode il ferro, a volte assume una connotazione specifica che siamo soliti definire come #gelosia.
Essa nasce dal verificare ciò che gli altri sono e fanno e di conseguenza l'approvazione e il riconoscimento che essi ricevono.
Esiste un antidoto all’invidia e alla gelosia ? La risposta è sì, e si chiama gratitudine, ossia il saper rendere grazie, il sapere stupirsi del bene da chiunque venga compiuto, il saper vedere con occhio buono tutto ciò che fiorisce intorno a noi… Solo chi sa riconoscere ed essere grato per il bene fatto dagli altri è capace di “fare il bene”.
Ha sconfitto il sentimento d'invidia dentro di sé, colui che sa dire: “ciò che ho potuto fare di bene, l'ho fatto grazie agli altri che sono con me: senza questi miei fratelli, senza questi miei amici, non avrei potuto fare quel poco di bene che ho operato ! Tratto dal libro: "Una lotta per la vita" di Enzo Bianchi.
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