Cause e avvio della Rivoluzione Francese

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Alle origini della rivoluzione:
Immobilismo politico della Francia: la culla dell’illuminismo non conosce riforme.
Esempio della rivoluzione americana.
Malcontento dei ceti produttivi penalizzati dalla politica economica e fiscale.
Cattiva congiuntura agricola e seguenti difficoltà alimentari per la popolazione.
Difficoltà finanziarie dello stato.

Il deficit dei conti pubblici
Ministri o consiglieri dell'economia degli ultimi tempi della monarchia:
1) Turgot,
Anne-Robert-Jacques Turgot è stato un economista e filosofo francese di orientamento fisiocratico; Luigi XVI gli affidò il controllo delle finanze dal 1774 al 1776
e lui diede così vita al più organico tentativo di riforma conosciuto dalla Francia settecentesca.
2) John Law,
la sua teoria monetaria, critica verso la moneta metallica e a favore della moneta cartacea, è stata a lungo trascurata, a causa del noto fallimento del “Sistema di Law” o “Sistema del Mississippi” da lui costruito.
3) Jacques Necker

Il problema fiscale
Necker (1778-81) e gli altri ministri delle finanze propongono:
1) Riduzione delle spese (vita di corte, pensioni per gli aristocratici)
2) Riforma fiscale che estenda la tassazione anche agli aristocratici.

La nobiltà difende i suoi privilegi.
Luigi XVI (1774-92) è costretto a convocare gli Stati Generali (1788)
Tentativi di riforma
Il problema principale, alla fine del Settecento, era la crisi economica, dovuta ad una politica inadeguata, e aggravata da condizioni climatiche sfavorevoli che avevano ridotto la produzione agricola. I deboli tentativi di riforma dei sovrani avevano scontentato sia il terzo Stato, che non vedeva migliorare la propria situazione, sia i nobili e il clero, che non volevano perdere nessuno dei propri privilegi.

Gli Stati Generali. La situazione precipitò nel 1788. Per evitare la bancarotta Luigi XVI aveva imposto una nuova tassa sulla terra. Il Parlamento di Parigi, controllato da nobiltà e clero, vi si oppose, e per far approvare questa tassa, vitale per l’economia del paese, il Re fu costretto a convocare gli Stati Generali.

Contraddizioni
La Francia del Settecento era un paese pieno di contraddizioni:
1) Era la patria dell’illuminismo, ma i sovrani fallirono ogni tentativo di riforma;
2) Era un paese molto ricco, ma aveva l’economia meno dinamica giacché il ceto benestante investiva i propri capitali in attività improduttive;

La causa di ciò era il tipo di società presente in Francia, ancora pienamente di «Antico Regime»: una monarchia assoluta e una società fondata sui tre ordini, basata sul privilegio di pochi.

Nobiltà e Clero
Costituivano solo il 2% della popolazione totale ma godevano di immensi privilegi:
1) Se processati, erano giudicati da corti composti da giudici appartenenti al proprio ordine;
2) Non pagavano tasse, e potevano imporne a piacimento nei propri territori;
3) Godevano di privilegi fiscali «medievali»: potevano imporre corvée ai sudditi e obbligarli a usare il frantoio o il mulino del signore.

Antichi vincoli feudali limitavano la libera divisione e vendita della terra, e impedivano lo sviluppo dell’agricoltura in senso moderno.

Il Terzo stato
La leadership del terzo stato (borghesia intellettuale e imprenditoriale) vede negli Stati generali un’occasione per una riforma globale del regno di Francia.
Il terzo stato ottiene una rappresentanza più numerosa degli altri stati.
Nelle assemblee in cui si eleggono i delegati la discussione va ben al di là dei problemi fiscali.
Costituiva il 98% della popolazione, ed era molto diversificata al suo interno, c’erano:
La borghesia agiata, commercianti, imprenditori, piccoli proprietari terrieri, professionisti;
La popolazione povera delle città, piccoli commercianti, artigiani, operai;
I contadini delle campagne, la maggioranza del terzo stato.
Malgrado le enormi differenze all’interno del terzo Stato, tutti erano accomunati da una condizione di inferiorità rispetto ai primi due ceti: non avevano diritto di voto, e non avevano voce in politica.

Giornata delle tegole a Grenoble
Sotto l'Ancien Régime, i più alti organi amministrativi locali erano i Parlamenti, che potevano rifiutarsi di approvare una nuova legge, costringendo così il re a farla eseguire in modo forzato. Nel contesto della crisi economica e sociale degli anni Ottanta del Settecento, i parlamenti incarnano, da parte dell'opinione pubblica, la resistenza al “dispotismo” monarchico. Il 10 maggio 1788 apparvero una serie di editti che ne limitavano i poteri, provocando grande agitazione. Nonostante le drammatiche proteste e le rivolte popolari, i parlamentari si sottomisero al re in tutte le città del regno. Ma a Grenoble, il 7 giugno 1788, in risposta al decreto di esilio che colpì il suo Parlamento, la popolazione si mobilitò, impedì la partenza dei magistrati e, dai tetti, lanciò proiettili contro le truppe reali che si stavano ritirando.
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