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Presentazione Enciclica Fratelli tutti: la terza relazione di Duccio Chiapello
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Lunedì 19 ottobre 2020 si è svolto un incontro di presentazione dell’Enciclica “Fratelli tutti”; la serata è stata promossa in collaborazione con i parroci e i diaconi della città di Fossano, l’associazione “L’atrio dei gentili” e l’Azione Cattolica diocesana.
In questo video la relazione del prof. Duccio Chiapella (docente al Liceo "Ancona"), e di seguito un estratto del suo contributo.
È mia intenzione articolare l’intervento a partire da una vicenda della mia vita, ossia il momento in cui i miei genitori decisero di adottare un bambino e coinvolsero me e l’altro mio fratello in quella scelta, che divenne un’avventura e una scuola di fratellanza. Questo per introdurre uno degli aspetti che con più forza mi sembra attraversino l’enciclica: che la fratellanza, prima di essere un principio, deve essere un’esperienza di vita.
Sempre a partire da questo racconto, desidererei enfatizzare il tema della fratellanza come “comunione nella diversità” e non come “compresenza nell’omologazione”, sottolineando come ogni uomo e ogni popolo debbano coltivare la propria identità, la propria storia e i propri valori non perché siano elemento di divisione e conflitto, ma perché, come all’interno di una famiglia, è mettendo in comune la diversità che i fratelli riescono a far fronte a difficoltà che da soli non saprebbero superare. Anche la fioritura culturale del Rinascimento fu il frutto di una “comunione nella diversità” che si stabilì fra gli uomini di scienza e gli intellettuali del tempo. Avevano radici e appartenenze diverse, ma le utilizzarono come acceleratore di progresso e come occasione per sviluppare un patrimonio di idee che, da Moro ed Erasmo in avanti, se fossero state pienamente comprese, avrebbero fruttato al loro tempo non solo una grande stagione culturale, ma anche un’epoca di pace. In questa prospettiva, ad es., colloco due passaggi dell’enciclica:
«i popoli che alienano la propria tradizione e, per mania imitativa, violenza impositiva, imperdonabile negligenza o apatia, tollerano che si strappi loro l’anima, perdono, insieme con la fisionomia spirituale, anche la consistenza morale e, alla fine, l’indipendenza ideologica, economica e politica».
«non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici, di non appartenere a nessuno. Una terra sarà feconda, un popolo darà frutti e sarà in grado di generare futuro solo nella misura in cui dà vita a relazioni di appartenenza tra i suoi membri, nella misura in cui crea legami di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità che lo compongono; e anche nella misura in cui rompe le spirali che annebbiano i sensi, allontanandoci sempre gli uni dagli altri»
Infine mi piacerebbe concludere spendendo qualche parola su un aspetto su cui abbiamo riflettuto in molte occasioni con i miei studenti: per usare le parole dell’enciclica, la necessità di passare da una solidarietà basata sulla «sussistenza» a quella finalizzata al «progresso» dei popoli. Sarà questo il compito dei ragazzi che ora studiano e, parallelamente, si affacciano alla vita: essere l’anima e la parte attiva di una
pagina di progresso e sviluppo dei popoli, mettendo le loro conoscenze a servizio di una storia di fratellanza nel senso più profondo del termine. Non tornare indietro, ma andare ancora oltre l’accoglienza del fratello: contribuire a farlo crescere, a rendere migliore la sua terra, a essere parte della sua liberazione. Non si potrà, domani, essere ingegneri, medici o tecnici come lo si è oggi. Bisognerà innanzitutto partire dal nostro essere uomini, fratelli di altri uomini, perché questo è il principio di ogni solidarietà ed è la strada migliore per realizzare, da svegli, un «sogno di pace e di giustizia».
In questo video la relazione del prof. Duccio Chiapella (docente al Liceo "Ancona"), e di seguito un estratto del suo contributo.
È mia intenzione articolare l’intervento a partire da una vicenda della mia vita, ossia il momento in cui i miei genitori decisero di adottare un bambino e coinvolsero me e l’altro mio fratello in quella scelta, che divenne un’avventura e una scuola di fratellanza. Questo per introdurre uno degli aspetti che con più forza mi sembra attraversino l’enciclica: che la fratellanza, prima di essere un principio, deve essere un’esperienza di vita.
Sempre a partire da questo racconto, desidererei enfatizzare il tema della fratellanza come “comunione nella diversità” e non come “compresenza nell’omologazione”, sottolineando come ogni uomo e ogni popolo debbano coltivare la propria identità, la propria storia e i propri valori non perché siano elemento di divisione e conflitto, ma perché, come all’interno di una famiglia, è mettendo in comune la diversità che i fratelli riescono a far fronte a difficoltà che da soli non saprebbero superare. Anche la fioritura culturale del Rinascimento fu il frutto di una “comunione nella diversità” che si stabilì fra gli uomini di scienza e gli intellettuali del tempo. Avevano radici e appartenenze diverse, ma le utilizzarono come acceleratore di progresso e come occasione per sviluppare un patrimonio di idee che, da Moro ed Erasmo in avanti, se fossero state pienamente comprese, avrebbero fruttato al loro tempo non solo una grande stagione culturale, ma anche un’epoca di pace. In questa prospettiva, ad es., colloco due passaggi dell’enciclica:
«i popoli che alienano la propria tradizione e, per mania imitativa, violenza impositiva, imperdonabile negligenza o apatia, tollerano che si strappi loro l’anima, perdono, insieme con la fisionomia spirituale, anche la consistenza morale e, alla fine, l’indipendenza ideologica, economica e politica».
«non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici, di non appartenere a nessuno. Una terra sarà feconda, un popolo darà frutti e sarà in grado di generare futuro solo nella misura in cui dà vita a relazioni di appartenenza tra i suoi membri, nella misura in cui crea legami di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità che lo compongono; e anche nella misura in cui rompe le spirali che annebbiano i sensi, allontanandoci sempre gli uni dagli altri»
Infine mi piacerebbe concludere spendendo qualche parola su un aspetto su cui abbiamo riflettuto in molte occasioni con i miei studenti: per usare le parole dell’enciclica, la necessità di passare da una solidarietà basata sulla «sussistenza» a quella finalizzata al «progresso» dei popoli. Sarà questo il compito dei ragazzi che ora studiano e, parallelamente, si affacciano alla vita: essere l’anima e la parte attiva di una
pagina di progresso e sviluppo dei popoli, mettendo le loro conoscenze a servizio di una storia di fratellanza nel senso più profondo del termine. Non tornare indietro, ma andare ancora oltre l’accoglienza del fratello: contribuire a farlo crescere, a rendere migliore la sua terra, a essere parte della sua liberazione. Non si potrà, domani, essere ingegneri, medici o tecnici come lo si è oggi. Bisognerà innanzitutto partire dal nostro essere uomini, fratelli di altri uomini, perché questo è il principio di ogni solidarietà ed è la strada migliore per realizzare, da svegli, un «sogno di pace e di giustizia».
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