Johann Friedrich Herbart e la filosofia anti-idealista. La critica del sistema hegeliano

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Herbart e i critici di Hegel
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Erano mesi che cercavo una spiegazione della filosofia di Herbart... il problema è che, non essendo indicizzato su youtube, il suo video non compariva mettendo la parola chiave "Herbart". L'ho scoperto casualmente navigando sul suo canale... Grazie!

adrianotorricelli
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Vorrei farle due domande sul suo video e sul testo correlato. Le chiederei un chiarimento su due frasi che non ho compreso del tutto:
1) "esistono, secondo H., fuori noi una quantità di enti la cui natura semplice e propria ci è sconosciuta, ma sulle cui condizioni INTERNE(????) ed esterne possiamo acquistare una somma di conoscenze che può aumentare all'infinito". Non comprendo il termine "interne", nella misura in cui in se stessi, cioè nella loro semplicità, i reali ci restano secondo H. sempre e comunque preclusi, in qualità di noumeni.
2) "Le diverse note di una Cosa non sono altro che atti di autoconservazione tra i reali". Su questa non ho bisogno di specificare cosa non ho capito perché mi resta del tutto oscura... tra l'altro mi è abbastanza oscura la nozione di atto di autoconservazione in relazione ai reali, che per H. sono assolutamente semplici e dovrebbero quindi - mi sembra - essere per loro stessa natura immodificabili da parte di qualsiasi perturbamento accidentale proveniente da altri reali (il che poi, apre un interrogativo su come faccia il reale-anima a modificarsi continuamente attraverso le percezioni causate dagli altri reali, senza perdere quella assoluta semplicità originaria che l'autore le attribuisce!)

Sulla natura fondamentalmente democritea e atomistica della metafisica di Herbart sono assolutamente d'accordo con lei, anche se facendo il distinguo essenziale (che anche lei fa) che la realtà degli atomi di Democrito è essenzialmente meccanicistica, spaziale e materiale, mentre i reali di H. sono realtà semplici e come tali irriducibili a una dimensione spaziale e meccanica.

Infine, sul tema della scienza e della causalità, ovvero sull'individuazione di leggi relazionali stabili e necessarie tra i fenomeni, mi pare ovvio che un tale tema "faccia a pugni" (de facto, se non de iure) con l'idea che i rapporti tra i reali, costituenti ultimi e causa più profonda della nostra realtà fenomenica, debbano avere una natura del tutto contingente e accidentale. Vi sarebbe cioè, in base a ciò che H. dice, una realtà necessaria anche in quella dimensione che egli considera del tutto casuale e non necessaria dal punto di vista della sua ontologia e della sua metafisica!
Ma questo, in ultima analisi, è il punto debole anche del kantismo: se possiamo individuare in modo stabile e certo leggi sintetiche a priori all'interno della realtà fenomenica, è ovvio che queste devono avere una qualche corrispondenza con la realtà noumenica, e che quindi (almeno a mio avviso!!!) non possono essere nostre altro che al 50%, per così dire, dovendo trovare una qualche corrispondenza e specularità al di fuori di noi, anche se in un modo che ovviamente ci resta del tutto sconosciuto!
In sintesi, mi sembra che Herbart ricalchi, seppure in modo originale, in quanto rifiuta la nozione di funzioni a propri dell'io, la lezione kantiana, ricalcandone le debolezze soprattutto per ciò che riguarda il rapporto tra cosa in sé e fenomeno. Ma più ancora di Kant, egli "si incasina" nell'analisi di questo rapporto, perché postula una esplicita continuità tra noumeno o cosa in sé (vista come una realtà assolutamente semplice) e fenomeno (visto come articolato e complesso) che darebbe a sperare nella possibilità di una definitiva risoluzione del mistero (da Kant implicitamente posto ma irrisolto) del loro rapporto attraverso la riconduzione del secondo al primo, pur senza poi poter mantenere (soprattutto nell'analisi dei rapporti causali) queste aspettative...

adrianotorricelli