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La storia del FURTO della GIOCONDA
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La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, l’opera d’arte più famosa della storia, fu realizzata in Toscana dal celebre Leonardo da Vinci nel 1503. Il dipinto ritrae Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo, ed è conservato presso il Museo del Louvre di Parigi.
La mattina di quel lontano lunedì 21 Agosto 1911, il giovane imbianchino lombardo Vincenzo Peruggia realizzò il furto più famoso del novecento. Approfittando di un ingresso secondario, il giovane italiano, dopo essersi nascosto in una cameretta buia del Louvre, estrasse il quadro dalla teca, lo nascose dentro il cappotto e si allontanò dall’ingresso senza farsi notare.
Ad accorgersi del furto della Gioconda fu l’artista Louis Béroud, che la mattina del 22 agosto appena entrato nel Salon Carrè notò la mancanza del dipinto di Leonardo. Inizialmente si ipotizzò ad uno spostamento temporaneo in un’altra sala, ma ben presto la notizia del furto iniziò a diffondersi ovunque.
Peruggia affermò sempre di aver compiuto il furto per patriottismo in quanto la visione, su un opuscolo del Louvre, di quadri italiani portati in Francia da Napoleone fece maturare in lui un senso di vendetta. In realtà la Gioconda non fece mai parte del bottino di guerra Napoleonico.
Inizialmente i sospetti caddero su di un gruppo di operai, poi vennero accusati i poeti Picasso e Apollinaire, perfino la Germania fu indagata come probabile mandante del furto.
In realtà, l’opera trafugata si trovava a pochi isolati dal Louvre nella casa del Peruggia prima in una valigia di indumenti, poi sotto l’unico tavolo e lì restò per ben 28 mesi senza essere scoperta nonostante un’ispezione.
Passarono i mesi e sulla vicenda del Furto della Gioconda calò il silenzio. Dopo più di 2 anni, il 29 novembre 1913, Peruggia decise di scrivere all’antiquario fiorentino Alfredo Geri, desideroso di organizzare una mostra nella sua rinomata galleria di Firenze.
Firmandosi Leonardo V. propose di restituire la Gioconda, dietro la ricompensa di mezzo milione di lire, a patto che la stessa fosse conservata in Italia. “Ne saremo molto grati se questo tesoro d’arte ritornasse in patria a Firenze dove Monna Lisa ebbe i suoi natali… e fosse esposta alla Galleria degli Uffizi al posto d’onore e per sempre. Sarebbe una bella rivincita al primo impero francese che, scalando in Italia, fece man bassa su una grande quantità di opere d’arte per crearsi al Louvre un grande museo”. Geri, incredulo e allarmato, avvisò subito il direttore degli Uffizi, Giovanni Poggi, per combinare un incontro l’11 dicembre 1913.
Il giorno successivo il giovane italiano Peruggia venne arrestato dai Carabinieri. Il processo si svolse il 4 e 5 giugno 1914 presso il tribunale di Firenze, di fronte alla stampa internazionale e a un pubblico favorevole a Peruggia per motivi popolari mossi da amore e affetto per il gesto quasi eroico. La condanna fu lieve, 1 anno e 15 giorni, che poi fu scontata a sette mesi e quattro giorni, nel carcere delle Murate a Firenze. Uscito dal carcere si sentì un uomo finito, senza soldi e senza lavoro, e umiliato dallo Stato che pensava di servire.
Invece, riscontrò nella popolazione italiana un grande consenso e fu oggetto di interviste e attenzioni dei media, tanto che un gruppo di studenti toscani gli consegnò una colletta di 4500 lire come ringraziamento.
Grazie al “furto del secolo”, la Gioconda, accresciuta di fama e mistero, prima di rientrare in pompa magna in Francia, fu esposta a Firenze, Roma e Milano richiamando migliaia di visitatori. Vincenzo Peruggia, dopo aver combattuto la prima guerra mondiale, tornò a vivere in Francia e si stabilì alla periferia di Parigi dove la figlia veniva soprannominata “Giocondina”. Morì d’infarto a 44 anni l’8 ottobre 1925, il giorno del suo compleanno, fu sepolto nel cimiterò di Saint-Maur-des-Fossés, ma la sua fama lo rese immortale e un vero e proprio idolo degli Italiani.
La mattina di quel lontano lunedì 21 Agosto 1911, il giovane imbianchino lombardo Vincenzo Peruggia realizzò il furto più famoso del novecento. Approfittando di un ingresso secondario, il giovane italiano, dopo essersi nascosto in una cameretta buia del Louvre, estrasse il quadro dalla teca, lo nascose dentro il cappotto e si allontanò dall’ingresso senza farsi notare.
Ad accorgersi del furto della Gioconda fu l’artista Louis Béroud, che la mattina del 22 agosto appena entrato nel Salon Carrè notò la mancanza del dipinto di Leonardo. Inizialmente si ipotizzò ad uno spostamento temporaneo in un’altra sala, ma ben presto la notizia del furto iniziò a diffondersi ovunque.
Peruggia affermò sempre di aver compiuto il furto per patriottismo in quanto la visione, su un opuscolo del Louvre, di quadri italiani portati in Francia da Napoleone fece maturare in lui un senso di vendetta. In realtà la Gioconda non fece mai parte del bottino di guerra Napoleonico.
Inizialmente i sospetti caddero su di un gruppo di operai, poi vennero accusati i poeti Picasso e Apollinaire, perfino la Germania fu indagata come probabile mandante del furto.
In realtà, l’opera trafugata si trovava a pochi isolati dal Louvre nella casa del Peruggia prima in una valigia di indumenti, poi sotto l’unico tavolo e lì restò per ben 28 mesi senza essere scoperta nonostante un’ispezione.
Passarono i mesi e sulla vicenda del Furto della Gioconda calò il silenzio. Dopo più di 2 anni, il 29 novembre 1913, Peruggia decise di scrivere all’antiquario fiorentino Alfredo Geri, desideroso di organizzare una mostra nella sua rinomata galleria di Firenze.
Firmandosi Leonardo V. propose di restituire la Gioconda, dietro la ricompensa di mezzo milione di lire, a patto che la stessa fosse conservata in Italia. “Ne saremo molto grati se questo tesoro d’arte ritornasse in patria a Firenze dove Monna Lisa ebbe i suoi natali… e fosse esposta alla Galleria degli Uffizi al posto d’onore e per sempre. Sarebbe una bella rivincita al primo impero francese che, scalando in Italia, fece man bassa su una grande quantità di opere d’arte per crearsi al Louvre un grande museo”. Geri, incredulo e allarmato, avvisò subito il direttore degli Uffizi, Giovanni Poggi, per combinare un incontro l’11 dicembre 1913.
Il giorno successivo il giovane italiano Peruggia venne arrestato dai Carabinieri. Il processo si svolse il 4 e 5 giugno 1914 presso il tribunale di Firenze, di fronte alla stampa internazionale e a un pubblico favorevole a Peruggia per motivi popolari mossi da amore e affetto per il gesto quasi eroico. La condanna fu lieve, 1 anno e 15 giorni, che poi fu scontata a sette mesi e quattro giorni, nel carcere delle Murate a Firenze. Uscito dal carcere si sentì un uomo finito, senza soldi e senza lavoro, e umiliato dallo Stato che pensava di servire.
Invece, riscontrò nella popolazione italiana un grande consenso e fu oggetto di interviste e attenzioni dei media, tanto che un gruppo di studenti toscani gli consegnò una colletta di 4500 lire come ringraziamento.
Grazie al “furto del secolo”, la Gioconda, accresciuta di fama e mistero, prima di rientrare in pompa magna in Francia, fu esposta a Firenze, Roma e Milano richiamando migliaia di visitatori. Vincenzo Peruggia, dopo aver combattuto la prima guerra mondiale, tornò a vivere in Francia e si stabilì alla periferia di Parigi dove la figlia veniva soprannominata “Giocondina”. Morì d’infarto a 44 anni l’8 ottobre 1925, il giorno del suo compleanno, fu sepolto nel cimiterò di Saint-Maur-des-Fossés, ma la sua fama lo rese immortale e un vero e proprio idolo degli Italiani.