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Bruno Venturini e la canzone napoletana nel mondo

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"Bruno, please, sing "Anema e Core" and "Come back to Sorrento" for me". Ravello, 1962. Jacqueline Kennedy è in vacanza in Costiera, chiede a un 17enne Bruno Venturini di cantarle per ore i classici della canzone napoletana. Lei soggiorna a Villa Episcopio, lui non si muove dalla pensione Toro, dopo un anno tra la scuola di ragioneria e le "postegge" nei ristoranti. "Jacqueline Kennedy ha perso la testa per lo scugnizzo napoletano", titolano i giornali dell'epoca. Venturini è nato a Pagani (è cugino di Andrew Cuomo, governatore di New York, di origini nocerine), ma sono oltre quarant' anni che fa la spola tra Napoli e il mondo, portando nei cinque continenti la canzone napoletana. Eleganza d'antan, onda anni '50 nei sempre folti capelli neri, impeccabile. Il tempo per Bruno Venturini pare essersi fermato. Un cantante che ha venduto oltre 100 milioni di dischi. Da molti considerato erede di Caruso, come lui ha avuto le chiavi della città americana di Providence nel 1983. La sua versione di "Dicitancello vuje" era la canzone d'amore preferita di Mikhail Gorbaciov e della sua Raissa: gli chiesero di cantarla incontrandolo al Giffoni Film Festival nel '97. Venturini è anche il primo artista occidentale a esibirsi nel 1984 nella Cina post Mao. "Ci sono andato prima di Bertolucci, ho cantato 'O Sole mio a piazza Tienanmen davanti a un milione "'e cristiani", ma il primato non è il mio, è solo di Napoli...", dice il cantante, oggi 72enne. Migliaia i suoi concerti nel mondo, ad organizzarli ora è il figlio, anche lui cantante, Salvatore, art director della biografia a cura di Gianni Mauro, prefazione di Pippo Baudo.