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I limiti della psicofarmacologia

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La psicofarmacologia ha i suoi limiti: può lenire i sintomi più acuti di una patologia psico-emotiva ma difficilmente va ad agire sulle cause che la determinano che possono essere situazionali, psicologiche, ambientali, fisiche e questo provoca un possibile iniziale benessere ma presto o tardi il processo patologico alla base, non spento dal farmaco, riesce a prendere il sopravvento di nuovo sull'effimera perturbazione prodotta dalla medicina.
Ancora, la psicofarmacologia affronta i disturbi psichiatrici con la chimica e solo con essa mentre gran parte delle patologie psichiatriche più gravi sono provocate da anomalie del neuro-sviluppo per le quali la chimica può fare ben poco.
Gli psicofarmaci poi, agiscono su tutto il cervello e non sono in grado di agire solo sulle sue parti "malate": vanno pertanto ad agire anche su parti del cervello che non avrebbero bisogno di essere perturbate. Ad esempio, i neurolettici abbassano il tono di tutti i circuiti dopaminergici ma nella schizofrenia ad esempio il tono dopaminergico prefrontale andrebbe potenziato e non affievolito e lo stesso vale per i circuiti dopaminergici più profondi preposti al movimento che, se rallentati possono dare sindromi simil-parkinsoniane. Ancora, un altro limite della psicofarmacologia è dovuto alla modalità di interazione tra farmaco e cervello: fisiologicamente le modificazioni neurochimiche cerebrali avvengono a raffiche, successivamente a stimoli ambientali o situazionali mentre lo psicofarmaco agisce in modo rigido, non modulato sulla necessità del momento imponendo al cervello una concentrazione alta di principio attivo all'assunzione via via decrescente col passare delle ore, il tutto scollegato dalle esigenze fisiologiche del cervello.
Ancora, la psicofarmacologia affronta i disturbi psichiatrici con la chimica e solo con essa mentre gran parte delle patologie psichiatriche più gravi sono provocate da anomalie del neuro-sviluppo per le quali la chimica può fare ben poco.
Gli psicofarmaci poi, agiscono su tutto il cervello e non sono in grado di agire solo sulle sue parti "malate": vanno pertanto ad agire anche su parti del cervello che non avrebbero bisogno di essere perturbate. Ad esempio, i neurolettici abbassano il tono di tutti i circuiti dopaminergici ma nella schizofrenia ad esempio il tono dopaminergico prefrontale andrebbe potenziato e non affievolito e lo stesso vale per i circuiti dopaminergici più profondi preposti al movimento che, se rallentati possono dare sindromi simil-parkinsoniane. Ancora, un altro limite della psicofarmacologia è dovuto alla modalità di interazione tra farmaco e cervello: fisiologicamente le modificazioni neurochimiche cerebrali avvengono a raffiche, successivamente a stimoli ambientali o situazionali mentre lo psicofarmaco agisce in modo rigido, non modulato sulla necessità del momento imponendo al cervello una concentrazione alta di principio attivo all'assunzione via via decrescente col passare delle ore, il tutto scollegato dalle esigenze fisiologiche del cervello.
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