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Coronavirus, storia di Paolo: 'Mio padre è morto e io positivo. Ma ho dovuto lottare per il tampone'
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Il manager romano Paolo Fuà inizia ad accusare i primi sintomi influenzali il 10 marzo, dopo essere rientrato da una settimana bianca in Trentino. Pochi giorni dopo gli stessi sintomi sono accusati anche dal padre 87enne, che poi morirà a causa di complicanze insorte in seguito all'infezione. Da lì il manager intraprende una battaglia per essere sottoposto, assieme a tutta la sua famiglia, al tampone. ."Mio padre è stato ricoverato ed è stato dichiarato positivo grazie a una tac al torace - spiega Fuà - Per me, mia madre, mia moglie e mio figlio è scattata la quarantena obbligatoria. Anche a quel punto l'Asl non voleva farci il tampone e sono riuscito a convincerli solo perché devo prendere dei farmaci che mi rendono immunodepresso". .Il tampone viene quindi eseguito sul manager, che era stato a contatto con il padre prima del ricovero e del decesso, e sulla madre. Vengono invece esclusi la moglie e il figlio. "Mentre la quarantena si avviava alla conclusione sono arrivati i risultati: io e mia madre eravamo positivi - racconta - Se non avessi insistito per il tampone sarei stato libero di uscire e di infettare qualcuno. Se l'epidemia viene gestita così non la fermeremo mai". .La Asl in questione è stata interpellata ma non ha voluto rispondere alle domande . .di Francesco Giovannetti
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