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Die Laute (Lied per soprano e pianoforte) - Mario Quaggiotto

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Die Laute (Lied per soprano e pianoforte)
Compositore: Mario Quaggiotto
Testo: R. M. Rilke
Soprano: Ai Nagasue
Pianoforte: Diego Tripodi
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DIE LAUTE
Ich bin die Laute. Willst du meinen Leib
beschreiben, seine schön gewölbten Streifen:
sprich so, als sprächest du von einer reifen
gewölbten Feige. Übertreib
das Dunkel, das du in mir siehst. Es war
Tullias Dunkelheit. In ihrer Scham
war nicht so viel, und ihr erhelltes Haar
war wie ein heller Saal. Zuweilen nahm
sie etwas Klang von meiner Oberfläche
in ihr Gesicht und sang zu mir.
Dann spannte ich mich gegen ihre Schwäche,
und endlich war mein Inneres in ihr.
IL LIUTO
Io sono il liuto. Se il mio corpo vuoi
descrivere, le sue belle arcate strisce:
parla come parlassi d’un maturo
arcato fico. Esagera l’oscuro
che vedi in me. L’oscuro era di Tullia.
Non ce n’ era abbastanza nelle sue
vergogne, e i suoi capelli erano illuminati
come una chiara sala. Qualche volta
dalla mia superficie traeva un po’di suono
nel suo viso e cantava. Io mi tendevo
allora contro la sua debolezza,
e finalmente il mio interno era in lei.
(R. M. Rilke)
Compositore: Mario Quaggiotto
Testo: R. M. Rilke
Soprano: Ai Nagasue
Pianoforte: Diego Tripodi
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DIE LAUTE
Ich bin die Laute. Willst du meinen Leib
beschreiben, seine schön gewölbten Streifen:
sprich so, als sprächest du von einer reifen
gewölbten Feige. Übertreib
das Dunkel, das du in mir siehst. Es war
Tullias Dunkelheit. In ihrer Scham
war nicht so viel, und ihr erhelltes Haar
war wie ein heller Saal. Zuweilen nahm
sie etwas Klang von meiner Oberfläche
in ihr Gesicht und sang zu mir.
Dann spannte ich mich gegen ihre Schwäche,
und endlich war mein Inneres in ihr.
IL LIUTO
Io sono il liuto. Se il mio corpo vuoi
descrivere, le sue belle arcate strisce:
parla come parlassi d’un maturo
arcato fico. Esagera l’oscuro
che vedi in me. L’oscuro era di Tullia.
Non ce n’ era abbastanza nelle sue
vergogne, e i suoi capelli erano illuminati
come una chiara sala. Qualche volta
dalla mia superficie traeva un po’di suono
nel suo viso e cantava. Io mi tendevo
allora contro la sua debolezza,
e finalmente il mio interno era in lei.
(R. M. Rilke)