Roma - SALUTE. DAL MANICOMIO ALLA CURA, LE VITE DEI 'MATTI' DI BASAGLIA... (04.10.24)

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Roma, 4 ott. - "Lei è più interessato alla malattia mentale o al malato?". Nel 1968 Sergio Zavoli lo chiedeva, in un'intervista, a Franco Basaglia. Lo psichiatra, senza alcun dubbio, rispondeva: "Al malato". Una risposta che testimonia l'umanità di Basaglia e la sua dedizione verso le persone con sofferenze mentali. Oggi, il suo impegno è raccontato nella mostra 'Basaglia, 100 fotografie a 100 anni dalla sua nascita. Dal manicomio alla cura', inaugurata questa mattina nella Sala Emeroteca del ministero della Cultura, a Roma. L'esposizione, a cura di Gigliola Foschi e dell'Associazione Gian Butturini, celebra il centenario della nascita di Basaglia proponendosi di ricordare come il contributo dello psichiatra e dei suoi collaboratori non solo abbia portato alla chiusura dei manicomi (con la legge 180/1978 venne abolito il ricovero coatto) ma sia stato anche un esempio di come prendersi cura delle persone con disagio psichico attraverso laboratori artistici, viaggi ecc.. "Un bisogno di cura che ancora oggi fatica a trovare risposte adeguate- sottolineano i curatori della mostra- occorre una volta di più rilanciare la 'sfida basagliana' in direzioni che sappiano tenere conto delle esperienze del passato e delle attuali conoscenze in ambito psichiatrico e farmaceutico, ma anche delle problematiche psichiche e sociali innescate dalla contemporaneità". La mostra è inserita all'interno della III edizione di RO.MENS, il festival della salute mentale organizzato dal Dipartimento di salute mentale dell'Asl Roma 2 in collaborazione con l'Assessorato alle Politiche Sociali e alla Salute di Roma Capitale, in programma fino all'8 ottobre. "Con questa esposizione vogliamo raccontare, attraverso le immagini, quella che è stata l'epoca manicomiale e quello che è stato il 'dopo manicomio'- sottolinea Massimo Cozza, direttore del Dipartimento di Salute mentale dell'Asl Roma 2- sono, infatti, esposte fotografie che ritraggono persone senza vestiti, con la vita azzerata, e altre che testimoniano il vissuto di quelle stesse persone dopo il manicomio. I loro visi sono ben altri, molto più sorridenti. E' una mostra- continua Cozza- che vuole parlare soprattutto ai giovani per tentare di fargli superare pregiudizi e tabù sulla salute mentale. Vogliamo fargli conoscere l'impegno di Basaglia, un impegno che ha restituito la dignità di persona a chi soffre di disturbi mentali e gli ha riconsegnato i diritti di cittadinanza". Le 100 fotografie in mostra sono opera di Carla Cerati, Gian Butturini e Patrizia Riviera. Le immagini della Cerati sono apparse nel libro 'Morire di classe', pubblicato nel 1969 da Einaudi. "Il libro- spiegano i curatori della mostra- è stato ed è una sorta di pietra miliare nella denuncia dei manicomi quali mostruosi lager, dove le persone, anziché essere curate, venivano disumanizzate, legate ai letti, chiuse in camicie di forza, sottoposte a elettroshock o lobotomie. Il tutto in situazioni di sporcizia, degrado, violenza e prevaricazione. Le immagini di Carla Cerati, oltre a essere un denuncia della condizione manicomiale, rivelano come l'autrice abbia saputo esprimere una vicinanza, una partecipazione umana ed empatica che metteva in primo piano la solitudine profonda, interiore e quotidiana, vissuta dagli internati. Lei non distoglie lo sguardo dalle sofferenze degli e delle degenti: lo avvicina, lo rende uno strumento sensibile, capace di cogliere espressioni, ma anche i luoghi in cui sono costretti a vivere in situazioni di coercizione dove dominano le sbarre". Con le immagini di Gian Butturini, in prevalenza scattate a Trieste tra il 1975 e il 1977 "si può invece comprendere come in quegli anni, sulla spinta di Franco Basaglia e di sua moglie Franca Ongaro, proprio a Trieste si stesse sviluppando un'innovativa, straordinaria pratica di liberazione, integrazione e restituzione della dignità di quegli ex degenti, che per lunghi anni, e fino a pochissimo tempo prima, erano rimasti rinchiusi in strutture di segregazione- raccontano ancora i curatori- Con le sue fotografie Butturini dimostra come la 'sfida basagliana' tenti con speranza, tenacia, e anche fantasia, una reale presa in carico della sofferenza psichica delle persone". "Così l'autore- continuano i curatori della mostra- propone immagini dove emergono momenti di socialità e si moltiplicano gesti di cura che sono anche un segno di vicinanza umana, di solidarietà e d'ascolto: ci sono volontari che pettinano anziani, persone che ballano sorridenti tra i tavoli di una mensa, un gruppo di donne a cui vengono insegnati esercizi di ginnastica; e poi ancora incontri di dialogo, ritrovi collettivi, interventi di artisti che stimolano l'espressività… Il tutto con un approccio fotografico partecipato, fresco, immediato e diretto, dove a prevalere sono gli sguardi, le atmosfere umane, gli eventi quotidiani, la capacità di stare accanto a chi soffre ... (04.10.24)
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